In capo al lavoratore si configura un dovere civico (e non solo un diritto) di diffusione di notizie e fatti appresi sul luogo di lavoro, qualora sussista un interesse pubblico alla loro generalizzata conoscenza

Il Tribunale di Milano, con sentenza dello scorso 10 maggio (APRI), ha fornito una articolata rilettura del diritto di critica del lavoratore e del contemperamento di tale diritto con gli obblighi di cui all’art. 2105 c.c., adeguandolo alla congiuntura dell’emergenza pandemica sul luogo di lavoro.

Nel caso oggetto di giudizio il ricorrente, dipendente di una cooperativa sociale adibito allo svolgimento di un servizio in appalto presso  una casa di cura privata, veniva licenziato dopo aver presentato una querela nei confronti di committente e appaltatore, relativa a violazioni della disciplina in materia di prevenzione del  contagio da Covid 19.

In particolare, la cooperativa contestava al lavoratore la diffusione, attraverso i mass media, del contenuto della querela,  ritenendo che tale condotta integrasse una violazione dell’obbligo di fedeltà.

Il Tribunale, all’esito, accoglieva il ricorso e dichiarava la nullità del recesso, ritenendo fosse stato intimato per il motivo illecito unico e determinante costituito dalla volontà di vendetta nei confronti del lavoratore, “colpevole” di aver esercitato il proprio diritto a sporgere querela all’autorità giudiziaria ed a manifestare il proprio pensiero nell’ambito delle interviste rilasciate agli organi di stampa.

Proprio affrontando tale ultimo profilo, la sentenza ha delineato il concetto di “pubblico interesse” collegato alla diffusione da parte di un lavoratore di notizie rilevanti per la “salute pubblica”. Ha, quindi, affermato che i fatti denunciati dal lavoratore trascendono la posizione soggettiva del singolo e coinvolgono, invece, la tutela della salute della generalità dei lavoratori e dei pazienti,  delle loro famiglie e di tutti i soggetti potenzialmente in contatto con costoro:  in sostanza, riguardano la salute pubblica.