La propagazione del COVID presso il luogo di lavoro non può essere considerata quale causa diretta ed automatica della mancata integrazione/aggiornamento del DVR

L’omessa integrazione/aggiornamento del Documento Unico di Valutazione dei Rischi (“DVR”) in relazione alle norme anti-COVID non integra il reato di epidemia colposa, anche nell’ipotesi in cui all’interno del luogo di lavoro si diffonda il virus.

Con la sentenza n. 20416/2021 (APRI), la Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, si è pronunciata per la prima volta in materia di omesso aggiornamento del DVR in relazione alle misure COVID.

Nella fattispecie, la Corte è stata chiamata ad esprimersi sul decreto di sequestro preventivo di una casa di riposo, emesso dal GIP del Tribunale di Caltagirone nei confronti del legale rappresentante della struttura, indagato per epidemia colposa e per violazioni in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

In particolare, durante gli accertamenti svolti dai Carabinieri, emergeva, tra le altre cose, la “omessa doverosa integrazione del documento di valutazione dei rischi con le procedure previste dal DPCM 24 aprile 2020 e l’omesso aggiornamento dello stesso”.

In un primo tempo, il sequestro preventivo disposto dal GIP veniva annullato con ordinanza del Tribunale del riesame di Catania.

Successivamente, il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Caltagirone impugnava con ricorso in Cassazione l’ordinanza di annullamento del sequestro, rilevando come la mancata integrazione e/o l’omesso aggiornamento del DVR (sia rispetto al rischio biologico in generale, sia a quello da COVID in particolare), costituiscano condotte idonee ad integrare gli estremi del reato di epidemia colposa, a fronte della loro efficienza causale a cagionare la stessa (nel caso di specie: numerosi anziani, poi deceduti, nonché lavoratori della residenza, erano risultati positivi al COVID).

Ebbene, la Corte di Cassazione, confermando la pronuncia di merito, ha respinto il ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica sulla base delle seguenti argomentazioni.

Innanzitutto, il delitto di epidemia colposa presuppone necessariamente una condotta commissiva a forma vincolata dell’agente, che è dunque incompatibile con una responsabilità a titolo di omissione, come quella contestata nel caso di specie (mancata integrazione/aggiornamento DVR).

Inoltre, non sono stati in ogni caso illustrati gli elementi e le ragioni logico-giuridiche in base a cui la condotta omissiva ascritta all’indagato sia causalmente collegabile alla successiva diffusione del virus. Invero, in assenza di qualsivoglia accertamento circa l’eventuale connessione tra l’omessa integrazione/aggiornamento del DVR e la diffusione del virus tra i pazienti e il personale della casa di riposo, non è possibile ravvisare la sussistenza del nesso di causalità tra la predetta omissione e il contagio.

Secondo i Giudici di legittimità, non è infatti da escludere che, anche qualora l’indagato avesse implementato tali misure, la propagazione del virus sarebbe comunque avvenuta per fattori causali alternativi.

Quanto accertato, quindi, non risulta sufficiente a far ritenere, in termini di qualificata probabilità, la ricorrenza del fumus della fattispecie di epidemia colposa.

Alla luce di tali argomentazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Pubblico Ministero, confermando la non colpevolezza del titolare della casa di riposo.