Partecipazioni societarie ed imposizione contributiva

Con sentenza n. 18594/2020, la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla imponibilità contributiva dei redditi percepiti dal lavoratore autonomo quale “partecipazione pro quota ad alcune società a responsabilità limitata”.

Ad avviso dell’INPS, tali redditi andrebbero sempre computati nella base imponibile, giacché essi costituiscono redditi d’impresa ad ogni effetto, stante anche il disposto di cui all’art. 3bis del d.l. n. 384/1992, convertito con modificazioni in legge n. 438/1992.

Tale tesi è stata accolta soltanto da parte della giurisprudenza. Il primo, importante, provvedimento di merito che ha, invece, contrastato la ricostruzione normativa dell’Istituto previdenziale è rappresentato dalla sentenza n. 752/2015 della Corte d’Appello de L’Aquila (cui ne sono seguiti di ulteriori emessi dalla medesima Corte, tra i quali si annovera la sentenza n. 748/2018), secondo la quale solo la totalità dei redditi afferenti alla gestione di un’impresa commerciale e/o artigiana può costituire, senza alcuna distinzione, base imponibile a fini contributivi.

Al contrario, per i redditi relativi a società di capitali è ammissibile una scissione tra redditi d’impresa tout court – ossia redditi scaturiti dall’esercizio di un’attività tipicamente di lavoro autonomo in forma imprenditoriale – e redditi di capitale, con la precisazione che soltanto i primi possono validamente essere soggetti a contribuzione previdenziale.

Ed infatti, recita il Supremo Collegio con la richiamata sentenza, “poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi di impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile a fini contributivi”.

Ad onor del vero, il rilievo consistente nel “mancato svolgimento di alcuna attività lavorativa” era già stato sviluppato dalla stessa Suprema Corte con la sentenza n. 21540/2019, in cui veniva evidenziato proprio che il presupposto dell’iscrizione del lavoratore autonomo alla gestione previdenziale è lo svolgimento di una qualche “attività lavorativa, per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della prestazione previdenziale obbligatoria”.

Anche in quella sede, pertanto, i Giudici di legittimità disattendevano le tesi dell’INPS, rigettandole.

Il messaggio è chiaro e, alla luce delle sentenze man mano emesse dalla Suprema Corte di Cassazione, potrebbe essere così sintetizzato: nessuna imposizione contributiva, senza attività lavorativa.