Oltre la motivazione formale: l’obbligo di accomodamento ragionevole come strumento di sindacato nel licenziamento per g.m.o.

di Francesca Albiniano
La pronuncia del Tribunale di Gorizia si iscrive nel solco di una giurisprudenza in costante evoluzione, offrendo un’interpretazione particolarmente significativa in materia di licenziamenti e, più nello specifico, di tutela antidiscriminatoria.
Invero, la sentenza, oggetto del presente commento, ha dichiarato la nullità di un licenziamento formalmente intimato per giustificato motivo oggettivo – qualificandolo come discriminatorio – poiché fondato, inter alia, sul fattore della “minore fungibilità” del lavoratore, direttamente riconducibile al suo stato di disabilità (sulla minore fungibilità del lavoratore rispetto all’idoneità alle mansioni si veda, Cass. 13 novembre 2023, n. 31471, in LPO News del 27.11.2023, con nota di M. Salvagni).
Di particolare rilievo è l’approccio metodologico adottato dal Giudice di prime cure, che ha recepito una nozione di disabilità aderente al “modello sociale o bio-psico-sociale”che supera una concezione meramente nosologica o medica, valorizzando l’interrelazione dinamica tra le menomazioni intrinseche del soggetto e le barriere, sia materiali che organizzative, presenti nel contesto lavorativo.
La disabilità, dunque, non è più intesa come una condizione statica del lavoratore, ma come il risultato di un’interazione complessa che può essere mitigata o aggravata dalle politiche e dalle prassi aziendali.
La pronuncia si pone, evidentemente, in linea con i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità – tra cui si segnala la recente Cass., Sez. Lav., 9 gennaio 2025, n. 460 – ed evidenzia come, anche un licenziamento formalmente motivato da ragioni oggettive, può celare una discriminazione.
1. Il fatto
Un dipendente, impiegato con la qualifica di addetto al taglio presso un’azienda operante nel settore della fabbricazione di materiale plastico e chimico, ha visto il proprio stato di salute deteriorarsi a causa di una diagnosticata epicondilite acuta bilaterale e del Morbo di Crohn.
Siffatto peggioramento ha determinato, da parte del medico competente, un giudizio di “idoneità con limitazioni” alle mansioni di addetto al taglio, specificamente prescrivendo l’astensione da attività che comportassero il piegamento del tronco e il sovraccarico degli arti superiori.
In conseguenza di tali prescrizioni, l’utilizzo dei macchinari disponibili per le operazioni di taglio è stato prevalentemente circoscritto a un solo macchinario, al fine di garantire l’espletamento della prestazione lavorativa in conformità con le indicazioni mediche e a tutela della salute del lavoratore.
Dopo un periodo di assenza per malattia, il dipendente è stato sottoposto a una visita straordinaria, che ha confermato il giudizio di “idoneità con limitazioni” e reiterato il divieto di adibirlo a mansioni implicanti il piegamento del tronco e il sovraccarico delle mani.
A distanza di circa diciassette giorni da tale accertamento medico, la società ha comunicato al lavoratore il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, motivando la decisione con una presunta crisi economica e la conseguente necessità di riorganizzazione e riduzione dei costi.
Nella lettera di licenziamento, la società specificava che, la scelta del lavoratore da licenziare tra gli addetti al taglio in forza in azienda “…è stata determinata dal fatto che da un lato Lei ha efficienti competenze nell’utilizzo di un solo macchinario, nello specifico nella linea di taglio Robor, rispetto agli altri Suoi colleghi che hanno competenze nell’utilizzo di più macchinari ed attrezzature e dall’altro che nell’esame comparativo Lei non ha carichi di famiglia”.
Il lavoratore, pertanto, ha impugnato il recesso deducendo che, a dispetto della motivazione oggettiva formalmente addotta nella missiva, il licenziamento fosse nullo in quanto intrinsecamente discriminatorio e/o ritorsivo.
A fronte delle censure avanzate dal lavoratore ricorrente, il Tribunale di Gorizia, ritenendo assorbente la questione relativa alla natura discriminatoria del licenziamento, ha statuito la fondatezza del ricorso su tale presupposto.
2. Le Questioni Giuridiche al vaglio del Tribunale
La pronuncia in esame fornisce un’opportunità di approfondimento in materia di tutela antidiscriminatoria nel rapporto di lavoro, ponendo al centro l’analisi della discriminazione diretta ex art. 2, D.Lgs. n. 216 del 2003.
Il Giudice concentrandosi sull’analisi della “condotta” del datore di lavoro – consistita nella scelta di licenziare quel determinato lavoratore – ha efficacemente indagato se la scelta del licenziamento fosse intrinsecamente correlata alla condizione di disabilità del lavoratore, definendo tale condizione secondo un modello sociale o bio-psico-sociale e superando una visione meramente patologica.
Nella specie, il Tribunale ha statuito che, nella fattispecie, “il rapporto tra la menomazione e il contesto lavorativo ha limitato, precludendogli la possibilità astratta di essere assegnato a diverse macchine con la stessa massima libertà tipica degli altri dipendenti in perfetto stato di salute…. risulta dunque plastico che, insieme agli altri criteri selettivi, abbia concorso alla selezione, il fatto che egli fosse, in sostanza, “meno performante” o – per usare il lessico societario – “meno fungibile” dal punto di vista produttivo rispetto ad altri lavoratori. Ha quindi pesato, in modo determinante, una caratteristica “negativa”… caratteristica che tuttavia non dipende da una sua minore capacità, ma esattamente dalle limitazioni derivanti dal suo stato di salute, ossia da profili che, in interazione con le caratteristiche dei mezzi impiegati, determinano la sua disabilità. In sostanza, la disabilità, lungi dall’essere stata considerata in vista dell’eventuale adozione di accomodamenti ragionevoli – la ricerca infausta di essi non è stata compiutamente dedotta – è stata un fattore determinante che ha concorso nella scelta di licenziarlo”.
Il Giudice, nella specie, richiamando la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata in Italia con L. n. 18/2009) e l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ha adottato il, già citato, “modello sociale o bio-psico-sociale” di disabilità.
Tale modello supera la visione puramente medico-legale della menomazione, concentrandosi sull’interazione tra le minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine e le barriere attitudinali e ambientali che possono impedire la piena ed effettiva partecipazione della persona alla società su base di uguaglianza con gli altri. Nel caso di specie, le limitazioni funzionali del ricorrente, che lo rendevano idoneo solo a determinate mansioni e macchinari, sono state considerate costitutive di una “condizione di disabilità rilevante” ai fini della disciplina antidiscriminatoria.
Il Tribunale, pertanto, ha accertato una discriminazione diretta poiché, il recesso, sebbene formalmente giustificato da ragioni oggettive (crisi economica), è stato in realtà determinato – o quantomeno influenzato in modo decisivo – dalla condizione di disabilità del lavoratore. A riprova di ciò, la motivazione espressa nella lettera di licenziamento, che faceva leva sulla “minore fungibilità” del dipendente a causa delle sue limitazioni nell’utilizzo dei macchinari, è stata considerata la prova di tale discriminazione. La disabilità del lavoratore è stata, di fatto, un criterio di selezione negativo per il licenziamento, in luogo dell’adozione di “accomodamenti ragionevoli” che avrebbero potuto consentire al dipendente di continuare a rendere la prestazione (in tema di adozione di accomodamenti ragionevoli per la salvaguardia del lavoratore disabile, cfr. ex multis, Cass. 19 marzo 2018, n. 6798; Cass. 22 ottobre 2018, n. 26675; Cass. 12 gennaio 2017, n. 618, tutte consultabili in DeJure).
Questo punto, quantomai significativo, si allinea perfettamente con quanto affermato dalla Cassazione Civile, Sez. Lavoro, con la sentenza n. 460 del 9 gennaio 2025, secondo cui la sussistenza di una motivazione organizzativa legittima non esclude di per sé la natura discriminatoria di un licenziamento.
Le ultime pronunce sul tema sottolineano, pertanto, che il “motivo economico ed organizzativo” può celare una discriminazione, imponendo al giudice di sindacare le scelte datoriali con un limite più penetrante quando è in gioco un fattore discriminatorio protetto.
3. Considerazioni conclusive
La sentenza di Gorizia offre un’analisi puntuale e attuale del licenziamento discriminatorio per disabilità, ribadendo la centralità della tutela reale per il lavoratore. L’adozione di una nozione di disabilità che trascende il mero approccio medico, abbracciando, la nozione di disabilità “eurounitaria”, e valorizzando l’interazione tra le menomazioni e le barriere ambientali/organizzative, la colloca in piena sintonia con gli orientamenti più progressisti della giurisprudenza di legittimità.
La questione della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore con disabilità impone oggi un’analisi più profonda, che supera la tradizionale concezione dell’insindacabilità della scelta datoriale (si v., A. Maresca, Il giustificato motivo oggettivo del licenziamento negli approdi nomofilattici della Cassazione, in Mass. giur. lav., 2019, 3, 556. Per un excursus sulle tappe dell’elaborazione giurisprudenziale che hanno caratterizzato la questione della ripartizione dell’onus probandi in materia di obbligo di repêchage in caso di licenziamento per motivo oggettivo si v., Cass. civ., sez. lav., 11 novembre 2022, n. 33341, in Lav. giur, 2023, 3, 264 e ss., con nota di M. Salvagni, Il repechage supera anche l’ostacolo della manifesta insussistenza e conquista la reintegrazione).
Invero, la giurisprudenza di legittimità affermava graniticamente che, le valutazioni attinenti alle esigenze tecnico-organizzative e le scelte sul repêchage costituissero espressione di un potere discrezionale imprenditoriale, censurabile unicamente in caso di arbitrio o manifesta irragionevolezza (sul punto si veda, Cass. civ., 7 dicembre 2016, n. 25201, in Il Foro it., 2017, I, 123, con nota di M. Ferrari, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e nomofilachia nonché M. Persiani, Giustificato motivo di licenziamento e autorità dal punto di vista giuridico, in Arg. dir. lav., 2017, 133 e ss.).
Tuttavia, questa linea interpretativa, pur tutelando la libertà di iniziativa economica, si mostrava carente nel considerare le specificità e le vulnerabilità legata alla condizione di disabilità del lavoratore.
Attualmente si delinea un nuovo paradigma ermeneutico che pone, di fatto, un freno alla mera pretestuosità delle ragioni formalmente addotte e impone un controllo sostanziale sulle reali motivazioni e modalità del recesso datoriale.
Il principio cardine che emerge con rinnovata forza è che l’obbligo di accomodamento ragionevole e la corretta ripartizione dell’onere della prova si pongono al centro di un rinnovato scrutinio delle scelte datoriali, anche quando queste si presentano formalmente motivate da ragioni oggettive di natura economica o organizzativa. Questo assunto implica una significativa evoluzione rispetto a un’interpretazione più tradizionale, che tendeva a riconoscere un’ampia discrezionalità al datore di lavoro nella gestione dei processi riorganizzativi o nella selezione dei lavoratori da licenziare per giustificato motivo oggettivo.
L’elemento dirimente non è più la mera adduzione di una ragione economica o organizzativa, ma la dimostrazione della sua intrinseca non discriminatoria.
Il Giudice è ora chiamato a verificare che la scelta del lavoratore da licenziare non sia stata, direttamente o indirettamente, influenzata da fattori di rischio, quali la disabilità, l’età avanzata, o altre condizioni protette dalla normativa antidiscriminatoria. In questo contesto, l’obbligo di accomodamento ragionevole, di derivazione sovranazionale (e (in particolare dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e la Direttiva 2000/78), assume una valenza cruciale ed impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure appropriate che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, al fine di consentire a una persona con disabilità di avere pari opportunità e di partecipare pienamente alla vita lavorativa (sul rifiuto di un accomodamento ragionevole si v., Corte di Giustizia, Sez. I, 18 gennaio 2024, C-631/22 con commento di F. Andretta, Licenziamento per sopravvenuta inabilità (parziale o) totale alle mansioni e lo speciale onere di repêchage: accomodamenti ragionevoli, in Labor, 24 febbraio 2024).
Ciò si traduce nell’esigenza di verificare, prima di procedere al licenziamento, l’interscambiabilità della posizione del lavoratore con quella di colleghi di pari carica o la possibilità di ricollocazione in un altro settore o mansione compatibile con le sue specifiche limitazioni.
Questo nuovo scrutinio giudiziale impone una maggiore trasparenza e un’approfondita riflessione sulle logiche sottostanti alle decisioni di gestione del personale, ponendo la tutela della dignità del lavoratore e la parità di trattamento al centro del bilanciamento degli interessi nel rapporto di lavoro.