L’Ispettorato può imporre il diverso inquadramento contrattuale

di Eugenio Erario Boccafurni*

* Le valutazioni espresse sono personali e non rappresentano il punto di vista dell’Ente di appartenenza

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Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2778 del 2024, riformando la pronuncia del T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, n. 155/2021, ha intesoincludere tra le “irregolarità” che possono formare oggetto del provvedimento di disposizione ex art. 14, D.lgs. n. 124/2004, «anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro […] anche indipendentemente dalle reazioni e iniziative civilistiche dei singoli lavoratori interessati».

In particolare,il T.A.R., ancorché «nella consapevolezza di porsi in contrasto con la diversa lettura della disposizione fatta propria dall’I.N.L.» (ovvero la circolare INL n. 5/2020, a cui aveva fatto seguito la nota INL n. 4539/2020), non aveva ritenuto che disporre l’inquadramento dei lavoratori in una categoria contrattuale diversa potesse rientrare tra le “irregolarità (…) in materia di lavoro e legislazione sociale” contestabili dall’Ispettorato nell’esercizio del proprio potere di disposizione: «la norma parla di “irregolarità”, termine con il quale si è soliti definire una difformità rispetto alla fattispecie legale, priva di espressa sanzione giuridica (come del resto specificato dalla stessa norma, che esclude i casi in cui le irregolarità “siano già soggette a sanzioni penali o amministrative”). Deve trattarsi, quindi, della violazione di norme c.d. “imperfette”, che al comando giuridico non accompagnino alcuna sanzione. L’adibizione del lavoratore a mansioni non corrispondenti alla categoria di inquadramento di cui al C.C.N.L. corrisponde, invece, ad una condotta di inadempimento di un obbligo di fonte legale – sancito dall’art. 2103 c.c., secondo cui “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto…”», a cui l’ordinamento riconnette la tutela novellata al comma 7 dell’art. 2103 c.c.

Chiarito quanto precede, il Consiglio di Stato, con una interpretazione normativa sistematica che tiene conto anche dell’art. 13 del D.lgs. n. 124/2004, ha ritenuto che «anche l’art. 14 si riferisca alle norme della legge o del contratto collettivo atteso che il decreto n. 124, laddove abbia inteso delimitare il proprio ambito di applicazione, lo ha chiarito espressamente, con la conseguenza che nel silenzio della disposizione pare poter estendere ai “poteri di disposizione” nelle “materie di lavoro e legislazione sociale” lo stesso ambito di applicazione dei “poteri di diffida” dell’art. 13». Sicché, svalutando l’interpretazione restrittiva del T.A.R., il Collegio ha inteso includere tra le “irregolarità” che possono formare oggetto del provvedimento di disposizione «anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro […] anche indipendentemente dalle reazioni e iniziative civilistiche dei singoli lavoratori interessati».

Non da ultimo in termini di importanza, viene messo in luce come il meccanismo di cui all’art. 14, D.Lgs. n. 124 del 2004, «incentrato sulla sollecitazione di una attività “collaborativa” da parte del datore di lavoro, che può concludersi con l’eliminazione spontanea delle irregolarità riscontrate, può svolgere anche un’importante funzione preventiva e deflattiva del contenzioso giuslavoristico».

Si segnala, infine, che nelle more dell’intervento del Consiglio già il T.A.R. Basilicata, del 21.11.2023, n. 677, addivenendo ad una conclusione completamente opposta al citato precedente friulano, aveva confermato la piena legittimità di un atto dispositivo emesso dall’I.T.L. di Potenza, dal momento che «non essendovi plausibili ragioni per escludere che, nel novero di dette irregolarità, ricada anche l’acclarata adibizione del lavoratore a mansioni superiori rispetto al suo formale inquadramento (condotta integrante, pur sempre, l’inosservanza di un preciso obbligo normativo e contrattuale gravante sul datore di lavoro pubblico e privato)».