Il confine tra mobbing e il reato di violenza privata è sempre più labile

di Eugenio Erario Boccafurni*

* Le valutazioni espresse sono personali e non rappresentano il punto di vista dell’Ente di appartenenza

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Per maggiore chiarezza, nel notiziare la pronuncia della Cassazione penale n. 4567/2024, del 01.02.2024, si ritiene opportuno riportare integralmente i fatti addebitati all’allora datore di lavoro imputato, così descritti in sentenza: “In particolare, maltrattava le persone offese: offendendole e umiliandole abitualmente proferendo frasi del seguente tenore: “..sei una incapace ed una incompetente, lei non capisce un cazzo, lei è una bugiarda, lei si deve dimettere, io sono il padrone lei deve fare che *** dico io, mi ha rotto il ***, ora la sistemo io, questa è casa mia qui comando io e se non le sta bene si dimetta..”; – umiliando C.C., anche in presenza di colleghi, proferendo frasi del seguente tenore: “..se le cose non stanno bene, se ne vada, si dimetta, lei è una ragazzina, qui è casa mia e comando io..”; – modificando a C.C. il turno di lavoro, minacciandola, qualora non avesse ottemperato, di spostare la sua postazione di lavoro nel magazzino della boutique; – ponendo in atto ritorsioni nei confronti delle persone offese quando le stesse non eseguivano rigidamente le proprie indicazioni o effettuavano richieste di permessi o di ferie, in particolare demansionandole, oppure obbligandole a prendere giorni di ferie; – – umiliando e minacciando D.D., anche in presenza di colleghi, proferendo frasi del seguente tenore: “..ora la sistemo io, lei mi ha rotto il cazzo se ne deve andare e si deve dimettere, deve alzare le ***, mi ha rotto il ***..”; – accusando ingiustamente D.D. di una mancanza, al fine di sospenderle le ferie due giorni prima dell’inizio delle stesse; – minacciandole di licenziamento e di rendere loro impossibile la ricerca di un nuovo lavoro nel settore del “lusso” in virtù delle proprie conoscenze”.

Anzitutto, si rileva che la Corte di Appello di Roma, con la sentenza emessa in data 8 marzo 2023, aveva riqualificato la condotta in quella di violenza privata e riducendo la pena, riformando così la sentenza del Tribunale capitolino, che aveva ritenuto la responsabilità penale del datore in relazione al delitto di atti persecutori, a sua volta dopo aver riqualificato l’originaria condotta di maltrattamenti ex art. 572 c.p.

Ebbene, secondo i giudici di legittimità, la Corte di Appello aveva individuato correttamente la coartazione psicologica come azione adeguata a “indurre le persone offese a tollerare atteggiamenti e comportamenti altamente lesivi della loro liberta morale“, nonché ritenute sussistenti le condizioni “che costringevano le dipendenti a tollerare un clima lavorativo oltremodo ostile ed insidioso nonché a scoraggiarle, anche mediante la messa in atto di meccanismi ritorsivi, dall’intraprendere qualsivoglia tipo di iniziativa in grado di contrastare la sua condotta“.

In sostanza, dunque, affinché si configuri una “violenza privata” occorre un quid pluris: oltre la minaccia e la violenza in sé, occorre un condizionamento pro-futuro delle azioni delle persone offese, soggiogandole così da costringerle a “una condotta meramente omissiva, funzionale all’esercizio di un controllo sulla libertà psichica delle vittime e ad evitare qualsivoglia elemento di contrasto all’imposizione della sua (dell’imputato) volontà“.

Sicché, la minaccia di un licenziamento ritorsivo e l’intimidazione di sabotare il normale proseguo della carriera del dipendente, ancorché fattispecie certamente sussumibili all’interno dell’istituto del mobbing, possono comportare conseguenze penalistiche estremamente gravi per il datore. I fatti riassunti dalla Suprema Corte spingono ad interrogarsi sul perimetro civilistico del mobbing, inteso come condotta del datore di lavoro, del superiore o del collega, sistematica e protratta nel tempo, che – con intento persecutorio (rectius: animus nocendi) – si risolve in reiterati comportamenti ostili di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione e l’emarginazione del dipendente, con lesione del suo equilibrio psico-fisico e della sua personalità (cfr. Cass. 32381/2019). Gli istituti in parola, infatti, muovono da presupposti fattuali così affini da rendere particolarmente complessa la riconduzione di quest’ultimi nell’alveo del civile o del penale.