Se il datore omette di versare i contributi: quando si può agire nei confronti dell’Inps?

Con ordinanza n. 2164 del 1° febbraio 2021 (APRI), la Corte di Cassazione si è pronunciata, sul caso di una lavoratrice che aveva convenuto in giudizio l’INPS, al fine di ottenere la regolarizzazione della propria posizione assicurativa, con accredito dei contributi omessi dalla datrice di lavoro.

Avverso la sentenza di rigetto di primo grado, la lavoratrice proponeva appello.

La corte territoriale accoglieva l’impugnazione proposta, ritenendola fondata ai sensi dell’art. 2116 cod. civ. e dichiarando inammissibile la domanda proposta dall’Inps nei riguardi dell’impresa.

La controversia in questione giungeva dinanzi al Giudice di legittimità, il quale, tuttavia, ribaltava la sentenza di secondo grado, accogliendo il motivo inerente all’erronea applicazione del suddetto art. 2116 cod. civ., sull’assunto che non era stata domandata alcuna prestazione ma si era lamentata la sola carenza di contribuzione.

L’iter argomentativo seguito della Suprema Corte parte dall’integrità della posizione contributiva, cui il lavoratore ha diritto, ed ai rimedi apprestati dal legislatore in caso di inadempimento datoriale.

Ogniqualvolta non trovi applicazione il cd. principio di automaticità delle prestazioni ex art. 2116 cod. civ. o il lavoratore subisca pregiudizio nella realizzazione della tutela previdenziale, quest’ultimo ha diritto ad agire contro il datore di lavoro per ottenere il risarcimento, ai sensi del comma 2 dell’art. 2116 cod. civ.

È pertanto possibile agire avverso il datore per ottenere la condanna al pagamento della contribuzione non prescritta ed, al contrario, se intervenuta la prescrizione, solo quando si siano realizzati i requisiti per l’accesso alla prestazione previdenziale.

Invero – ribadisce la Corte – l’obbligazione contributiva ha quale soggetto attivo l’ente assicuratore e quale soggetto passivo il datore di lavoro, debitore dei contributi, nella parte maggiore, ovvero nell’intero.

Ne consegue che il lavoratore non è legittimato ad agire nei confronti dell’Istituto previdenziale per accertare l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, né può chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, residuando in suo favore, nel caso di omissione contributiva, il rimedio dell’articolo 2116 cod. civ. e la facoltà di chiedere all’Inps la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13 della legge n. 1338 del 1962.

La ratio della tutela predisposta dall’ordinamento è quella di “eliminare, attraverso la costituzione della rendita vitalizia, il detrimento pensionistico conseguente all’intervenuto omesso versamento dei contributi dovuti”.

Pertanto la Corte, richiamando un precedente giurisprudenziale (Cass. 759/2002), ha specificato che il diritto alla regolarizzazione della posizione assicurativa, può essere azionato nei confronti dell’Istituto, nel caso in cui quest’ultimo, nonostante la tempestiva comunicazione della omissione contributiva, non abbia provveduto a riscuotere i contributi dovuti, lasciando trascorrere il termine di prescrizione.

In siffatto caso, infatti, a tale inottemperanza, il lavoratore non ha potuto e neppure potrà in futuro sopperire ricorrendo ai rimedi apprestati dal legislatore.