Una vistosa crepa nell’autonarrazione delle piattaforme digitali: fra poteri disciplinari occulti e fittizia autonomia nella scelta dell’an e del quando della prestazione

Con sentenza depositata in data 24.11.2020, il Tribunale di Palermo ha compiuto un significativo scatto in avanti rispetto agli approdi registrati, ad oggi, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in materia di lavoro dei riders, dichiarando, sulla scorta di un’interpretazione evolutiva del dettato normativo, la piena applicabilità dell’art. 2094 c.c. (dunque, non già del solo art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 81/2015) al rapporto dedotto in giudizio.

L’interpretazione propugnata si è giovata, fra l’altro, del richiamo alle tesi sulla “doppia alienità” (dei mezzi e del risultato), a suo tempo sviluppate dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 30/1996), nonché della giurisprudenza in materia di subordinazione “attenuata”, la quale aveva individuato nel requisito dell’etero-organizzazione la chiave per la sicura attribuzione al ceppo tipologico della subordinazione di alcuni rapporti di lavoro nei quali è dato assistere a una rarefazione dell’esercizio del potere di etero-direzione.

Nel caso di specie, nell’accogliere integralmente la dettagliata ricostruzione dei fatti proposta da parte ricorrente, corroborata da un’ingentissima mole di allegazioni documentali, il giudicante ha riconosciuto la natura eminentemente discriminatoria e ritorsiva della disconnessione del rider dal proprio account, comminata dalla piattaforma all’indomani della sua partecipazione a un programma televisivo trasmesso da un’emittente locale.

In tale sede, infatti, il lavoratore aveva denunciato la mancata consegna dei DPI da parte della società e rappresentato le condizioni di sistematico sfruttamento della propria categoria.

Qualche settimana dopo, in occasione della mancata restituzione da parte del fattorino, entro il termine di ventiquattro ore assegnato dalla piattaforma, delle eccedenze sul saldo di cassa accumulato al termine del proprio turno di consegne, questi riscontrava l’intervenuto blocco del proprio account con conseguente comunicazione di sospensione dal servizio “per motivi di sicurezza”.

L’account non veniva riattivato neanche a seguito della rifusione, seppur tardiva, di tali somme, come normalmente previsto dal regolamento di servizio per ipotesi di questo tipo.

Tale anomalia determinava, allora, il lavoratore a impugnare la cessazione del rapporto con comunicazione scritta all’indirizzo della società, nonché ad avanzare alla medesima la richiesta – rimasta inascoltata – di acquisire il trattamento dei dati che avrebbe condotto alla decisione di disconnettere (e di non riconnettere, pur a fronte di numerose sollecitazioni) il suo account.

Nelle difese svolte in sede giudiziale, la società ha poi chiarito che il denunciato prolungamento del distacco sarebbe derivato da un non meglio precisato errore di sistema, peraltro rimasto sfornito di qualsiasi apprezzabile riscontro probatorio.

La ricostruzione dei fatti emersa all’esito della fase istruttoria ha indotto, allora, il Giudice a concludere che “la mancata riattivazione dell’account […] sia riconducibile alla volontà della società di reagire in tal modo alle provate rivendicazioni di natura sindacale operate dal ricorrente” e che “la sequenza temporale dei fatti è tanto diretta ed immediata da portare a ritenere assai verosimile l’intento punitivo datoriale”, il quale sarebbe culminato, prima ancora dell’impugnato “licenziamento per fatti concludenti”, nell’adozione di una serie di sanzioni disciplinari atipiche, in assenza di qualsivoglia garanzia di carattere sostanziale e procedurale. Tanto avrebbe condotto al disvelamento, dietro la più rassicurante facciata di un sistema premiale volto a consentire l’accesso in via prioritaria agli slots a maggiore densità di consegne ai lavoratori ritenuti più performanti in base al rating assegnato dall’algoritmo implementato dalla piattaforma, dell’esistenza di un potere disciplinare occulto.

Quello appena evidenziato costituirebbe, ad ogni buon conto, solo uno degli indici significativi dell’esistenza di un vincolo di subordinazione riscontrati, nel caso di specie, dall’autorità giudiziaria, la quale, nel ricostruire puntualmente le fasi nelle quali si articola l’attività lavorativa dei riders, ha appuntato la propria attenzione sul carattere fittizio della pretesa autonomia degli stessi in ordine alla scelta dell’an e del quando delle prestazioni di consegna, rilevando che che “a tutto concedere, il lavoratore può̀ scegliere di prenotarsi per i turni che la piattaforma (e quindi il datore di lavoro che ne è titolare o ne ha il controllo) mette a sua disposizione in ragione del suo punteggio” e che “in verità, non è lui che sceglie quando lavorare o meno, poiché́ le consegne vengono assegnate dalla piattaforma tramite l’algoritmo, sulla scorta di criteri del tutto estranei alle preferenze e allo stesso generale interesse dal lavoratore”.

A ciò̀ si aggiunga che, oltre al tempo materialmente occorrente per l’espletamento dei singoli incarichi di consegna, il lavoratore sarebbe costretto a mettere a disposizione della piattaforma le proprie energie lavorative per il compimento di attività ausiliarie, peraltro non retribuite, quali, ex multis, il raggiungimento dell’area di servizio assegnatagli, l’effettuazione del login nell’applicativo della piattaforma, l’attesa al ristorante e la rimessa dei pagamenti in contanti.

Come chiarito dal Giudice, del resto, appare carente del necessario fondamento l’obiezione, pur svolta dalla convenuta, a mente della quale tali attività preparatorie sarebbero connaturate al lavoro su piattaforma e, come tali, non inciderebbero sulla qualificazione autonoma del rapporto pattuita in contratto, dal momento che “la piattaforma non è un terzo, dovendosi con essa identificare il datore di lavoro che ne ha la disponibilità e che programma gli algoritmi – peraltro non esibiti in giudizio – che regolano l’organizzazione del lavoro con le modalità predette e di fatto sovrastano il lavoratore con il subdolo esercizio di un potere di totale controllo sul medesimo, ai fini dell’esecuzione della prestazione lavorativa”.

La fattispecie concreta emergente si connoterebbe, pertanto, per la soggezione del prestatore a poteri datoriali di direzione (avendo la convenuta procedimentalizzato ogni fase della prestazione del rider attraverso l’imposizione di predeterminati comportamenti per ogni tipo di evento durante le fasi di ritiro/tragitto/consegna) e controllo, oltre che di natura latamente disciplinare, integrando, così, a pieno titolo gli elementi costitutivi della prestazione di lavoro subordinato enucleati all’art. 2094 c.c.

Coerentemente con le conclusioni svolte in punto di qualificazione della fattispecie, il giudicante ha, infine: ritenuto sussistente, fra le parti in causa, per il periodo nel quale il fattorino ha prestato la propria attività in favore della società, un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, riconducendo le mansioni dedotte dal ricorrente al VI livello di inquadramento professionale del CCNL Terziario Distribuzione e Servizi (già applicato ad altro personale dipendente in forza presso la piattaforma); dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato “per fatti concludenti”, a motivo dell’ingiustificato protrarsi sine die della disconnessione del fattorino dal proprio account e, per l’effetto, condannato la società convenuta a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro, nonché́ a corrispondergli un’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del T.F.R. che avrebbe dovuto percepire in ragione dell’anzidetto inquadramento contrattuale, con riguardo alle mensilità intercorse dalla data del licenziamento sino all’effettiva reintegrazione.