Il contratto a termine: profili di nullità, mancata valutazione dei rischi e oneri probatori

Con la sentenza n. 15 del 2022, pubblicata il 18 gennaio 2022, il Giudice del lavoro del Tribunale di Genova, dott.ssa Golinelli, nell’ambito di un giudizio sulla legittimità, o meno, di un contratto a termine e sulla eventuale sussistenza di differenze retributive, ha avuto modo di chiarire e porre in luce, tra le altre questioni, la più recente interpretazione giurisprudenziale relativa al divieto di stipulazione di contratti a termine per mancata valutazione del rischio (i.e., mancato aggiornamento del DVR) ex art. 20, co. 1, lett. d), D.Lgs. n. 81/2015 e ripartizione dell’onere probatorio tra le allegazioni del lavoratore e gli obblighi datoriali.

Considerando infondate le deduzioni di nullità del termine di parte ricorrente che aveva altresì invocato la nullità del licenziamento verbale subito il giorno della scadenza del contratto (in quanto non può parlarsi di licenziamento, ma di cessazione del rapporto alla scadenza contrattuale), il Giudice genovese ha precisato quanto segue.

In primo luogo, con riguardo alla deduzione della lavoratrice di avere iniziato la prestazione lavorativa il giorno prima di quello indicato nel contratto, il Giudice, da un lato ha rilevato che la ricorrente non ha provato alcunché in proposito e che, in sede di interrogatorio libero ha altresì dichiarato di avere firmato il contratto di lavoro un paio di giorni dopo l’inizio del lavoro effettivo. Alla luce di quanto sopra, il Giudice rileva che è la stessa lavoratrice che ha escluso la illegittimità del contratto a termine dal momento che l’art. 19, co. 4, del D.Lgs. n. 81/2015 – come modificato per effetto della legge di conversione del c.d. “Decreto dignità” a partire dal 9.8.2018 – non prevede espressamente la contestualità, ma solo l’obbligo di “consegna del contratto a tempo determinato entro 5 giorni dall’inizio della prestazione”. Di conseguenza, la richiamata mancata consegna contestuale non inficia la validità del contratto a termine atteso che, nel caso esaminato, la norma, posta a presidio dell’interesse e del diritto del lavoratore di conoscere la durata determinata del rapporto, ha raggiunto lo scopo (in sede di interrogatorio la lavoratrice ha dichiarato di avere contezza della durata temporanea del rapporto). Tuttavia, è bene chiarire, come evidenziato anche da autorevole dottrina, che la formazione del contratto di lavoro a termine deve essere anteriore o contestuale all’inizio del lavoro (Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, II rapporto di lavoro, Padova, 2021, 788).

Allo stesso modo è stato ritenuto infondato il motivo relativo alla mancanza di giustificazione della proroga in quanto, si afferma, “neppure a seguito delle modifiche introdotte con il D.lgs. 78/2018, è necessaria l’esplicitazione di una ragione giustificatrice del termine del contratto che abbia durata inferiore, comprese le eventuali proroghe, di 12 mesi.”

Secondo l’interpretazione resa dal Giudice genovese, tale conclusione si ricava direttamente dalla lettera della legge (artt. 19 e 21 D.Lgs. n. 81/2015), dal momento che il primo comma dell’art. 21 stabilisce che: “il contratto può essere rinnovato solo a fronte delle condizioni di cui all’art. 19, co. 1. Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all’art. 19 co. 1”.

La chiarezza del dato normativo non lascia quindi spazio a interpretazioni, confermando l’infondatezza della domanda. La proroga del contratto a termine, pertanto, è libera solo nei primi 12 mesi del contratto, mentre, successivamente deve essere giustificata ai sensi dell’art. 19, co 1, altrimenti il contratto si trasforma a tempo indeterminato.

Ulteriore profilo di illegittimità del contratto a termine posto all’esame del Giudice è quello relativo al superamento dei limiti percentuali di utilizzo da parte del datore di lavoro.

Secondo parte ricorrente tale superamento avrebbe dovuto comportare l’applicazione, nei confronti del datore di lavoro, della sanzione della trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.

Di diverso avviso è il Tribunale di Genova che, richiamando quanto disposto dall’art. 23, co. 4, D.Lgs. n. 81/2015, afferma che “in caso di violazione del limite percentuale di cui al comma 1, restando esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, per ciascun lavoratore si applica una sanzione amministrativa (…)”.

Pertanto, nell’ipotesi in cui si fosse realmente verificata una violazione relativa al superamento delle percentuali di utilizzo, al datore di lavoro, in ogni caso, sarebbe stata irrogata una sanzione amministrativa pari ad una indennità del 50% della retribuzione per ogni mese di durata del rapporto, senza il verificarsi di alcuna conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato.

Per l’analisi e l’approfondimento dell’ultimo profilo di nullità del contratto a termine sottoposto al vaglio del Giudice (mancata effettuazione della valutazione dei rischi in applicazione della normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori) si rende necessaria una breve premessa di carattere sistematico.

L’obbligo di sicurezza, posto a carico del datore di lavoro, viene scomposto dal D.Lgs. n. 81/2008 (Testo Unico della Sicurezza sul lavoro) in una serie di specifici adempimenti, al fine di garantirne la procedimentalizzazione e l’attuazione in forma partecipata.

Il primo di tali adempimenti, che potremmo definire fondamentale nell’economia del funzionamento del Sistema di Prevenzione e Protezione, consiste nella valutazione dei rischi connessi allo svolgimento della prestazione lavorativa. Tale adempimento risulta necessario proprio in ragione della necessità di individuare le fonti di pericolo e l’entità del danno che ne può derivare [cfr. art. 2, co. 1, lett. q) Testo Unico].

Suddetta valutazione deve riguardare tutti i rischi, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori.

A tal fine, l’art. 28, co. 1, lett. e) del Testo Unico annovera tra rischi oggetto di valutazione quelli legati alla “specifica” tipologia contrattuale di assunzione (come, per l’appunto, i contratti a tempo determinato). Diretta conseguenza di tale previsione è il divieto imposto dal legislatore alla contrattazione a termine in ipotesi di omessa valutazione del rischio.

In accordo con il c.d. principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile, il T. U. stabilisce a carico del datore di lavoro un obbligo periodico di aggiornamento, continuo e immediato, della valutazione del rischio, nonché delle misure di prevenzione, tenuto conto di una serie di elementi tra i quali certamente rientra l’organizzazione del lavoro e, quindi, la scelta datoriale di applicare all’impresa personale con contratti di lavoro a tempo determinato.

Diretta conseguenza di questo fondamentale obbligo datoriale è l’obbligo di redazione ed aggiornamento (all’occorrenza) del Documento di valutazione dei rischi (DVR),da custodire necessariamente presso l’azienda, munito di data certa e contenente gli elementi indicati nell’art. 29 del T.U.

In buona sostanza, la corretta valutazione dei rischi in azienda, e quindi la presenza del DVR, è fondamentale per il datore di lavoro, in particolare nell’ipotesi in cui questi stipuli contratti a termine con i propri lavoratori, pena la nullità di questi ultimi e la loro conversione in contratti a tempo indeterminato.

Nella sentenza in commento il Tribunale di Genova, sulla scorta dell’interpretazione fornita dalla Cassazione nella sentenza n. 16835/2019 e nella sentenza n. 5241/2012, non ha ritenuto sussistente, nel caso esaminato, l’omessa valutazione del rischio da parte del datore di lavoro, e la conseguente trasformazione del contatto a termine in contratto a tempo indeterminato, ritenendo che, come già affermato dalla Suprema Corte, pur dovendosi ritenere operante tale sanzione “nell’ambito di un’interpretazione estensiva dell’obbligo di tutela della salute dei lavoratori che detta norma impone, anche quando manchi un aggiornamento correlato ad adeguamenti necessari in ragione di mutamenti dell’organizzazione aziendale (D.lgs. 81/2008), tuttavia, l’avvenuta produzione del DVR da parte del datore di lavoro e pur gravando sul datore l’onere probatorio dell’effettuato aggiornamento, è onere del lavoratore allegare, in primo grado e anche in replica alla produzione avversaria, gli elementi da cui desumere l’inadeguatezza di tale documento, a fronte di modifiche rilevanti nell’organizzazione lavorativa, costituendo l’inesistenza o l’inadeguatezza del DVR fatto costitutivo della domanda.”.

Nel caso portato all’attenzione del giudice genovese, la ricorrente, all’esito della produzione in causa con la memoria difensiva da parte della resistente del DVR, avrebbe replicato genericamente (a detta del Giudicante) su elementi quali la mancanza di data certa, l’assenza di indicazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nonché il mancato aggiornamento dopo il 2017.

In merito a tali contestazioni, il Tribunale ha, però, ritenuto non soddisfatto l’onere di allegazione che la stessa Corte di Cassazione, come visto, pone in capo al ricorrente, atteso che:

  1. la deduzione di un’omessa valutazione dei rischi da parte della Società (con il conseguente divieto di stipula di contratti a termine) è stata smentita dalla produzione documentale in giudizio del DVR;
  2. di fronte alla documentazione prodotta, la lavoratrice non ha allegato fatti modificativi capaci di dimostrare la necessità di un aggiornamento del DVR di fronte all’intervenuta stipula del contratto a termine stipulato con la Società.

Il Tribunale ha altresì rilevato che l’eccezione di mancanza del DVR oltre che non fondata è stata tardiva dal momento che i rilievi critici in replica alla produzione avversaria sono stati svolti dalla ricorrente solo nelle note di trattazione scritta della discussione della causa.

In ragione delle suesposte considerazioni, il Giudice ha ritenuto legittimamente svolta la valutazione del rischio e, di conseguenza, non ha rilevato profili di illegittimità in tal senso all’interno del rapporto di lavoro instaurato.

In conclusione, dalla pronuncia in commento emerge il rigore con il quale, nel solco dell’interpretazione della Corte di Cassazione, le Corti di merito giudicano oggi le questioni relative a profili delicati, come può essere quello relativo al divieto di stipulazione di contratti a termine in assenza di una corretta valutazione del rischio.

Ciò anche alla luce di una equilibrata valorizzazione del principio di effettività della tutela in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

In buona sostanza, affinché si possa affermare che nel caso di specie non vi è stata una corretta valutazione del rischio ex art. 28 e 29 del T.U., con la conseguente violazione del divieto di stipulare contrati a termine sancito dall’art. 20 D.Lgs. n. 81/2015 – che implica la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato– non è sufficiente dedurre una generica omissione, ma è necessario allegare e provare che le modifiche organizzative poste in essere dalla società ovvero le particolarità e le peculiarità delle mansioni da svolgere in forza del contratto a termine sottoscritto avrebbero reso necessario un aggiornamento del DVR e, non in ultimo, replicare tempestivamente alla produzione datoriale.