Il danno da violazione dell’obbligo di non concorrenza può essere presunto

Con ordinanza del 31 gennaio 2022, n. 2824, la Suprema Corte ha statuito, da un lato, che la concorrenza sleale può essere presunta, e, dall’altro lato, che il danno può consistere non solo in una contrazione del fatturato ma anche in una sua mancata crescita (riduzione del potenziale di vendita).  

Nella fattispecie, alcuni soci avevano costituito nel 1997 una società esercente l’attività di pasticceria e bar nella città di Arezzo. Nel 2006, era avvenuta la liquidazione della quota dei soci recedenti, con stipula di un patto di non concorrenza: per tre anni i soci receduti non avrebbero potuto svolgere, personalmente o per interposta persona, attività di bar (se non a distanza di almeno due chilometri della sede dell’attività), né di pasticceria (se non fuori dalla provincia di Arezzo).

Nel corso dello stesso anno, tuttavia, i soci receduti avevano violato il patto intraprendendo un’altra attività di pasticceria, tramite un prestanome.

La società attrice conveniva in giudizio i soci recedenti, sostenendo che tale illecito le aveva recato un danno in misura pari ad Euro 60.000, secondo una valutazione equitativa ex art. 1226 (se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione secondo equità).

I convenuti si difendevano sostenendo che la controparte non avesse dimostrato il danno effettivo, non avendo prodotto la contabilità dell’azienda dalla quale desumere, quanto meno, un trend in crescita dei propri introiti negli anni precedenti al 2006.

Il Tribunale di Arezzo, in primo grado, aveva rigettato la domanda attorea: non era stato fornito alcun elemento idoneo a provare la sussistenza di pregiudizi economici per l’effetto dell’illecita condotta, e, di conseguenza, neppure si poteva esercitare il potere equitativo.

La Corte d’appello e la Suprema Corte hanno ribaltato tale impostazione ritenendo provata la concorrenza sleale sulla base della mera vicinanza dei due esercizi commerciali ex art. 2729 cc, in violazione di quanto espressamente pattuito nell’accordo concluso fra le parti. Infatti, la prossimità tra i due esercizi lascia presumere ex se la potenziale sottrazione di clientela.

Per la liquidazione del danno, la Corte ha confermato che la stessa può avvenire in via equitativa sulla base di un parametro oggettivo costituito, nel caso di specie, dal valore di avviamento dell’azienda.

Invero, il nesso fra il valore di avviamento e la violazione del patto di non concorrenza è, secondo gli ermellini, il seguente: se l’avviamento consiste nell’attitudine dell’impresa al profitto derivante dal complesso dei clienti, è ovvio che si tratta di un dato intimamente collegato con la clientela e che, dunque, ben può servire da base per quantificare il nocumento originato da una perdita (ancorché solo parziale) di quella stessa clientela. Pertanto, la valutazione di euro 60.000 operata da parte attrice deve considerarsi congrua. Tale ordinanza conferma il recente orientamento giurisprudenziale, di favor per il danneggiato, secondo il quale la concorrenza sleale può essere presunta, non potendosi richiedere al danneggiato la probatio diabolica di individuare tutti i clienti che gli sono stati sottratti o il quantum delle occasioni di affari perdute.