Legittimo il licenziamento della guardia giurata che al momento dell’assunzione non comunica l’esistenza di una condanna penale

Con la sentenza n. 342/2021, pubblicata il 24 aprile 2021 (APRI), il Tribunale di Genova (Dott.ssa Golinelli) ha rigettato il ricorso proposto dal lavoratore licenziato a seguito di procedimento disciplinare instaurato per l’avvenuta scoperta di fatti illeciti (reati contro la persona) estranei al contratto di lavoro commessi dal dipendente, tra l’altro antecedentemente all’inizio del rapporto.

I fatti materiali esaminati sono così riassumibili: il lavoratore si presentava al colloquio pre- assunzionale presso una società di vigilanza privata alla ricerca di personale per lo svolgimento della mansione di fattorino/usciere/addetto alle attività di custodia; nel corso del colloquio gli veniva espressamente richiesto se avesse precedenti penali e/o se esistessero carichi pendenti a suo carico; il lavoratore rispondeva negativamente ad entrambe le domande e veniva quindi assunto nel luglio del 2018; a seguito di una verifica disposta dal datore di lavoro ed effettuata nel periodo dicembre 2018/gennaio 2019 e che aveva interessato la generalità dei dipendenti, il lavoratore consegnava il certificato del casellario giudiziale da cui risultava una condanna penale passata in giudicato per il reato di violenza sessuale continuata, antecedente alla data di assunzione, mentre dal certificato carichi pendenti veniva confermata l’inesistenza di segnalazioni; veniva quindi aperto un procedimento disciplinare, all’esito del quale il datore comminava il licenziamento per giusta causa ritenendo che l’aver taciuto l’esistenza della condanna penale, nonché la condanna stessa, era sussumibile nella giusta causa di licenziamento ex art. 2119 cc.

Il CCNL di categoria (Istituti di Vigilanza Privata) prevede che il lavoratore debba, all’atto dell’assunzione, presentare sia il certificato dei carichi pendenti che il casellario giudiziale, documenti evidentemente non consegnati ma neppure richiesti dal datore di lavoro ed atti ad escludere la commissione di “reati incompatibili con le mansioni nell’ambito dei servizi fiduciari”.

Il lavoratore impugnava il licenziamento assumendone l’illegittimità per insussistenza del fatto materiale e perchè sproporzionato, evidenziando che al momento dell’assunzione gli era stato richiesto solo se avesse carichi pendenti (domanda cui aveva risposto in maniera veritiera) e che la precedente condanna penale concerneva fatti estranei all’attività lavorativa e quindi in thesi era irrilevante.

La fattispecie presenta i seguenti profili di peculiarità e di interesse:

– rilevanza o meno delle dichiarazioni del lavoratore in sede di assunzione;

– rilevanza o meno di fatti estranei al rapporto di lavoro commessi prima dell’instaurazione del rapporto stesso;

– rilevanza o meno di fatti non inclusi nella elencazione di cui al CCNL di categoria quali legittimanti la risoluzione del rapporto;

– rispetto del principio di tempestività della contestazione.

In ordine al primo punto, la sentenza in commento valorizza il dato istruttorio che ha visto confermarsi il fatto che il lavoratore, durante il colloquio per l’assunzione, aveva taciuto l’esistenza di precedenti condanne penali subite, rispondendo negativamente alla espressa domanda che gli era stata posta.

In ordine al secondo profilo il Giudice ha ritenuto che la condanna penale in questione concerneva un reato di particolare e grave disvalore etico e sociale ed era quindi incompatibile con le mansioni per le quali il ricorrente si era candidato, tale che se fosse stata conosciuta non avrebbe portato alla sua assunzione.

La condotta posta in essere dal lavoratore (l’aver taciuto la condanna nonché la stessa commissione del reato) è stata ritenuta dal Giudice in violazione non solo delle espresse previsioni del CCNL sopraricordate, ma altresì in violazione dei generali principi in materia così come enunciati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.

In ordine al terzo profilo, il Tribunale ha richiamato il costante insegnamento della Suprema Corte, secondo cui le condotte sanzionabili con il licenziamento disciplinare sono enunciate solo in via esemplificativa dai CCNL e non è preclusa l’autonoma valutazione da parte del Giudice circa la sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta della giusta causa di cui all’art. 2119 cc.

Nel caso di specie, prosegue il Tribunale, l’assunzione alle mansioni per le quali il ricorrente si era candidato implicavano “delicati compiti di vigilanza fiduciaria” e pertanto era necessario il possesso da parte del lavoratore di “una condotta specchiata”, che tale però non era ab origine stante l’esistenza di una condanna taciuta per un reato particolarmente grave contro la persona, circostanza idonea a ripercuotersi negativamente sia sul vincolo fiduciario ab origine sia sull’immagine aziendale.

In ordine all’ultimo profilo , il Giudice ritiene tempestiva la contestazione soffermandosi peraltro solo sull’arco temporale trascorso tra la richiesta del datore alla generalità dei dipendenti di produrre la documentazione del caso e la comunicazione della contestazione disciplinare al lavoratore poi licenziato.

Il focus della sentenza è senz’altro quello della rilevanza della condotta illecita extralavorativa del dipendente quale fonte di responsabilità disciplinare legittimante il licenziamento anche se degne di nota appaiono essere le soluzioni giudiziali date al primo ed al quarto profilo di interesse sopraindicati posto che:

– il Giudice non ha attribuito alcun rilievo al fatto che fu lo stesso datore di lavoro a non richiedere i documenti indicati al momento dell’assunzione (non ritenendoli quindi necessari salvo poi successivamente richiederli a tutti i dipendenti)

– il Giudice ha ritenuto tempestiva la contestazione disciplinare nel gennaio 2019 di un fatto conoscibile dal datore di lavoro sin dall’assunzione del dicembre 2018 (se la documentazione fosse stata richiesta) e comunque antecedente e non di poco all’instaurarsi del rapporto di lavoro.

Per quanto concerne la rilevanza dell’illecito extralavorativo, il dato da cui partire non è quello della previsione o meno da parte del CCNL della rilevanza disciplinare ai fini del licenziamento di dette condotte poste in essere dal dipendente in quanto, a prescindere dall’esistenza di una espressa previsione del CCNL, la giurisprudenza consolidata attribuisce ad esse rilevanza qualora siano idonee a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, avuto riguardo al tipo di illecito commesso (di particolare disvalore etico/sociale), alle mansioni attribuite (implicanti una condotta irreprensibile) e alle possibili ripercussioni derivanti dalla conoscenza dell’illecito sull’immagine del datore all’esterno (clienti esistenti o potenziali, pubblico ecc.).

Tale idoneità a compromettere il vincolo fiduciario può essere poi anche solo potenziale purché oggettiva e quindi va valutata secondo un giudizio prognostico ex ante.

Giova comunque precisare che, proprio in forza di tale orientamento consolidato, non tutte le condotte extralavorative assumono rilevanza disciplinare, ma solo per l’appunto quelle connotate da particolare gravità: diventa quindi fondamentale e decisiva la valutazione operata dal giudice di merito caso per caso.

Tra le tante pronunce in argomento, si ricorda Cass. civile, sez. lav., 03/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 03/12/2019), n. 31531 che ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente delle Poste Italiane che aveva patteggiato ex art. 444 c.p.p. la condanna per un reato in materia di stupefacenti (quindi il lavoratore neppure era stato condannato), richiamando il proprio consolidato orientamento secondo cui “la detenzione, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario (cfr. Cass. 16524 del 2015)”. Inoltre, con riguardo alla prova, “l’onere di allegazione dell’incidenza, irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario, del comportamento extralavorativo del dipendente sul rapporto di lavoro, è assolto dal datore di lavoro con la specifica deduzione del fatto in sé, quando lo stesso abbia un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, perchè di gravità tale, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere comuni, da connotare la figura morale del lavoratore, tanto più se inserito in un ufficio di rilevanza pubblica a contatto con gli utenti (si veda in termini Cass. n. 24023 del 2016 in fattispecie relativa a detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti)”.

Ancora recentemente la Suprema Corte ha confermato il proprio orientamento (Cass. civile, sez. lav., 15/10/2021, n. 28368): “La condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l’irrogazione della sanzione espulsiva. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva reputato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore – condannato, sia pure con sentenza non passata in giudicato, per produzione e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti -, sul rilievo che tale contegno, presupponendo l’inevitabile contatto con ambienti criminali, pregiudicasse l’immagine dell’azienda, aggiudicataria di pubblici appalti)”.

Nei medesimi termini la giurisprudenza di merito; tra le tante Corte appello Milano, sez. lav., 30/11/2018, n. 1953: “In tema di licenziamento per giusta causa, l’onere di allegazione dell’incidenza, irrimediabilmente lesiva del vincolo fiduciario, del comportamento extralavorativo del dipendente sul rapporto di lavoro (nella specie, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti), è assolto dal datore di lavoro con la specifica deduzione del fatto in sé, quando lo stesso abbia un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto, compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, perchè di gravità tale, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere comuni, da connotare la figura morale del lavoratore, tanto più se inserito in un ufficio di rilevanza pubblica a contatto con gli utenti”.

In materia di pubblico impiego poi la giurisprudenza si esprime in termini particolarmente stringenti (recentemente, Corte appello Torino, sez. lav., 24/05/2021, n. 268): “Nel pubblico impiego l’obbligo del lavoratore subordinato di tenere una condotta – anche extralavorativa – corretta ed improntata all’osservanza della legge e dell’etica sociale è particolarmente pregnante: infatti anche condotte tenute nella vita privata, quindi anche al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione lavorativa, possono essere idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che lega il dipendente all’Amministrazione, portando al licenziamento per giusta causa”.

Tali statuizioni costituiscono peraltro espressione del generale principio secondo cui le condotte punibili con il licenziamento disciplinare sono enunciate solo in via esemplificativa dalle previsioni dei CCNL, competendo al giudice di merito valutarne l’inidoneità lesiva del rapporto fiduciario, come detto secondo un giudizio da effettuarsi caso per caso. Ancora di recente Cass. civile, sez. lav., 13/04/2021, n. 9657: “In tema di licenziamento disciplinare, la tipizzazione delle cause di recesso contenuta nella contrattazione collettiva non è vincolante, potendo il catalogo delle ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo essere esteso, in relazione a condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo, ovvero ridotto, se tra le previsioni contrattuali ve ne siano alcune non rispondenti al modello legale, dunque nulle per violazione di norma imperativa; con la conseguenza che il giudice non può limitarsi a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile ad una previsione contrattuale, dovendo comunque valutare in concreto la condotta addebitata e la proporzionalità della sanzione. Il giustificato motivo soggettivo, al pari della giusta causa di licenziamento, è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza esemplificativa, con il solo limite all’irrogazione di un licenziamento per giusta causa quando costituisca più grave sanzione di quella prevista dal contratto collettivo in relazione a una determinata infrazione”.

La sentenza del Tribunale di Genova recepisce quindi il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, che infatti espressamente richiama: “… l’elencazione delle ipotesi di comportamenti sanzionabili con il licenziamento disciplinare ha valenza solo esemplificativa e non preclude l’autonoma valutazione da parte del giudice <in ordine alla idoneità di un grave comportamento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica e del comune vivere civile, a far venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore> (Cass. civ. 1903/2019)”.

Importante tema specifico affrontato dal Tribunale di Genova è poi quello della rilevanza della condotta illecita extralavorativa qualora sia stata posta in essere non in costanza di rapporto, ma prima della sua instaurazione.

In proposito il Giudice richiama in primis le previsioni del CCNL, secondo cui nel caso di specie il dipendente aveva il precipuo obbligo di comunicare “l’esistenza di precedenti condanne penali”, ma prosegue evidenziando e ribadendo che la rilevanza consegue comunque all’applicazione dei generali principi come enunciati dalla consolidata giurisprudenza in materia. Infatti, “la mancata informazione sulla condanna penale subita, l’incompatibilità di tale condanna con la possibilità di svolgere quell’attività lavorativa, giustificherebbe da sola il venir meno del rapporto di lavoro, trattandosi si una di quelle situazioni che, se nota, avrebbe impedito il sio perfezionarsi ab origine”.

Anche tale statuizione recepisce l’adagio della Suprema Corte (Cassazione civile, sez. lav., 10/01/2019, n. 428) secondo cui: “In tema di licenziamento per giusta causa, il vincolo fiduciario può essere leso anche da una condotta estranea al rapporto lavorativo in atto, benché non attinente alla vita privata del lavoratore e non necessariamente successiva all’instaurazione del rapporto, a condizione che, in tale secondo caso, si tratti di comportamenti appresi dal datore di lavoro dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell’organizzazione aziendale. (Nella specie, è stato giudicato legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per fatti commessi durante un precedente rapporto lavorativo con la stessa società di riscossione dei tributi, consistenti nell’abusivo accesso al sistema informatico e in varie infedeltà patrimoniali – parzialmente posti alla base di un primo recesso oggetto di transazione novativa – ma della cui complessiva portata il datore di lavoro era venuto a conoscenza solo dopo la seconda assunzione)”.

In conclusione, la sentenza del Tribunale di Genova si pone nel solco di una giurisprudenza oramai consolidata e recetta che attribuisce rilevanza ai fini disciplinari, a prescindere dalla espressa previsione del CCNL, delle condotte illecite extralavorative poste in essere dal dipendente e tali da legittimare il licenziamento qualora siano di tale gravità da compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, sia per il particolare disvalore etico/sociale, sia per le particolari mansioni attribuite (tali da richiedere una “condotta specchiata”), sia per l’idoneità se conosciute, a ledere l’immagine del datore nei confronti dei terzi.