Covid-19 e smart working nella Pubblica Amministrazione

1. Premessa.

Il presente lavoro propone di analizzare l’evoluzione normativa che ha condotto all’affermarsi del lavoro agile nella Pubblica Amministrazione, avviato quale sperimentazione sin dal 2015, con la Quarta Riforma del pubblico impiego. Verrà analizzato il fenomeno della digitalizzazione nella P.A. ed il legame esistente tra tecnologia e sviluppo del lavoro agile. Tale processo è statodi difficile attuazione; tuttavia, a seguito dell’emergenza del Covid-19, sembra destinato a subire una profonda accelerazione. Infatti, a causa della diffusione del virus appaiono finalmente superati i cavilli burocratici che le pubbliche amministrazioni avevano sinora frapposto alla diffusione dello smart working.

2. Stato dell’arte e interventi legislativi in tema di digitalizzazione e smart working nella P.A.

Il tema della digitalizzazione nelle pubbliche amministrazioni costituisce una delle principali innovazioni dei nostri tempi. Essa ha inciso profondamente sul piano dell’organizzazione dell’attività amministrativa sia su quello delle singole procedure; inoltre ha comportato rilevanti novità a proposito dei rapporti con l’utenza dei servizi amministrativi. Partendo dall’analisi della normativa comunitaria e internazionale in materia di digitalizzazione, l’intenzione è di porre l’accento sulla disciplina introdotta a livello nazionale attraverso le norme contenute nel Codice dell’Amministrazione Digitale. Quest’ultimo, istituito con il Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82, è stato successivamente modificato ed integrato numerose volte; in particolare, di recente, è stato modificato dapprima con il Decreto Legislativo 22 agosto 2016 n. 179 e successivamentecon il Decreto Legislativo 13 dicembre 2017 n. 217. Il tema della digitalizzazione nelle pubbliche amministrazioni è intrinsecamente connesso, in particolare alla luce della diffusione del virus noto come Covid-19, a quello del lavoro agile o smart working. Una tale modalità di lavoro necessita, infatti, di tecnologie innovative per avere attuazione e, per tale ragione rappresenta un forte impulso volto ad accelerare la trasformazione della Pubblica amministrazione in digitale. Analizzando più da vicino le nuove modalità di lavoro a distanza si comprende come la P.A. negli ultimi anni, sia stata oggetto di un progetto di riforma cui si è dato avvio con l’approvazione della Legge n. 124/2015 (nota come Legge Madia). Tra gli obbiettivi di detta riforma vi è quello indicato all’art. 14 commi 1 e 2, rubricato “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche”. Proprio l’art. 14 promuove il telelavoro e altre “nuove modalità spazio temporali di svolgimento della prestazione lavorativa”. Si può osservare come la norma citata si riferisca indubbiamente al c.d. lavoro agile o smart working e, dunque, che la Legge n. 124/2015 introduca la recente Legge n. 81/2017. L’art. 18 comma 1, di questa legge si pone a favore del lavoro agile in primo luogo, per meglio conciliare i tempi di vita e lavoro dei dipendenti pubblici ma anche, come già l’art 14 della Legge n. 124/2015, per aumentare e incrementare la competitività. Il precetto normativo così orientato ha iniziato ad avere attuazione nella pubblica amministrazione(1), a seguito dell’adozione della Direttiva n. 3/2017 del Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di attuare i commi 1 e 2 della Legge n. 124/2015 e, per introdurre alcune linee guida in tema di lavoro agile(2). Dall’analisi sistemica di tali citate fonti normative e di indirizzo amministrativo, emerge che il lavoro agile o smart working si pone al centro di una necessaria riorganizzazione del lavoro pubblico improntata sulle esigenze di equilibrio tra vita lavorativa e personale, principio che viene ulteriormente rafforzato nella direttiva de qua dal riferimento alla Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 settembre 2016, dedicata alla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli alla conciliazione vita-lavoro, la quale viene indicata espressamente quale diritto delle lavoratrici e dei lavoratori, e per tale via anticipa la successiva Direttiva dell’Unione Europea 2019/0348/EU, rubricata non a caso “on work-life balance for parents and carers”, e che ha abrogato la 2010/18/UE sui congedi parentali. Sono poi indicate, nell’atto del Presidente del Consiglio, le nuove modalità di lavoro che la P.A. deve porre in essere al fine di un’organizzazione più conciliante. A tal proposito,è possibile evidenziare le seguenti: l’individuazione degli obiettivi specifici, il responsabilizzare il personale rispetto alla mission istituzionale e di valutarne la prestazione secondo i risultati conseguiti, nonché promuovere corsi di formazione rivolti ai dipendenti per una maggiore diffusione della modalità di lavoro agile. In ultima analisi, con l’inasprirsi dell’emergenza sanitaria e il susseguirsi della decretazione d’urgenza, è stato sancito il superamento del regime sperimentale caratterizzante le nuove modalità di lavoro agile. Di conseguenza il lavoro agile è stato dichiarato modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, con l’obiettivo di estenderne al massimo l’utilizzo anche per le attività originariamente escluse, fino alla cessazione dello stato emergenziale da Covid-19 fissato al 30 Aprile 2021.

3. Analisi dei profili problematici connessi al lavoro agile nella P.A.

Dato atto del regime transitorio e delle generali implicazioni, anche di carattere sostanziale, conseguenti l’entrata in vigore delle normative suddette, occorre ora approfondire gli importanti profili problematici che il legislatore e la giurisprudenza saranno nel tempo chiamati a sciogliere. Una prima questione che ha da subito suscitato ampie perplessità e dibattiti è quella del c.d. digital divide, il divario digitale che nella popolazione si registra fra coloro che conoscono ed utilizzano efficacemente gli strumenti informatici e coloro che ne restano tagliati fuori per le ragioni più diverse. Ne discende, dunque, l’esigenza da parte dell’amministrazione di trovare un equilibrio tra la massimizzazione della digitalizzazione e la tutela degli interessi di tutti, ivi compresi coloro i quali, a causa di questo divario, quali povertà o altre difficoltà, non sono in grado di interagire telematicamente con l’autorità pubblica. Occorre cioè evitare che la promozione di politiche di e-government (dichiaratamente ispirate alla massima partecipazione del cittadino alla vita pubblica) finiscano paradossalmenteper escludere ambiti più o meno ampi di popolazione a causa del digital divide. Se poi si considera che le categorie di popolazione maggiormente esposte ad una marginalizzazione sono le categorie deboli per eccellenza (persone indigenti, immigrati, anziani, disabili, analfabeti funzionali(3)) il rischio concreto è che i valori cui l’e-government si ispira non siano di fatto raggiunti. Altra questione, concerne l’azione di promozione della digitalizzazione della pubblica amministrazione; quest’ultima pone rilevanti problemi in termini di sicurezza dei dati raccolti, gestiti e custoditi dall’amministrazione. L’ingente mole di dati che tutte le amministrazioni in tempi brevi saranno chiamate a raccogliere determinerà il necessario ricorso a sistemi tecnologici molto avanzati di cui molto difficilmente le amministrazioni dispongono, trovandosi così costrette ad esternalizzare il servizio di custodia dei dati affidandolo a società che professionalmente erogano questi servizi (c.d. cloud computing) nei confronti di numerosi enti pubblici e privati(4). Spostando, poi, l’attenzione sulle criticità in tema dilavoro agile e smart working, va evidenziato che sussiste la difficoltà di gestire il tempo di lavoro nel rispetto dei limiti di durata massima giornaliera e settimanale previsti dalla legge e dai contratti collettivi, spesso complicata dalla esiguità degli spazi abitativi e dalla contestuale presenza di tutti i membri della famiglia, nonché dal già richiamato deficit di funzionalità delle infrastrutture di rete e dei sistemi informatici verificatosi di frequente, sia che i relativi strumenti fossero forniti dalle amministrazioni sia che appartenessero ai lavoratori. Da questo punto di vista il lockdown ha agito mettendo in luce le sfide che la destrutturazione spazio-temporale della prestazione di lavoro pone alla separazione tra vita lavorativa e vita privata e ha contribuito a rafforzare gli stereotipi di genere(5). Da questo scenario emerge la conferma che la variabile essenziale della dimensione smart è la libera scelta, condizione necessaria per un’autentica flessibilità(6). È indispensabile, cioè, che ai lavoratori sia data la possibilità di condividere con l’organizzazione finalità e motivazioni del progetto di lavoro agile che si è stabilito di mettere in campo. Va pur detto che, sul fronte della conciliazione vita-lavoro, il datore di lavoro pubblico ha qualche problema in più da affrontare rispetto a quello privato, quando si tratta di gestire la flessibilità del tempo di lavoro. In primo luogo, perché l’amministrazione agisce entro precisi vincoli normativi, più complessi di quelli che deve fronteggiare l’impresa. La disciplina dell’orario, infatti, rileva sia sul piano della macro-organizzazione (quello di ufficio e di apertura al pubblico), sia su quello del rapporto di lavoro, i quali, in ossequio al sistema delle fonti che regolano attualmente il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, sono soggetti a regime giuridico diverso, rispettivamente pubblicistico e privatistico (artt. 2, c. 1 e 5, D.Lgs. n. 165/2001). Per le amministrazioni la complessità discende, inoltre, dalla necessità di bilanciare le esigenze di conciliazione vita-lavoro dei propri dipendenti con l’ampliamento dei servizi da erogare all’utenza, per soddisfare le analoghe esigenze di conciliazione dei cittadini. D’altro canto, con riferimento all’obiettivo di conciliazione vita-lavoro, la normativa legale del 2017 non prevede alcuna condizione o limitazione per garantire che l’accordo individuale di lavoro agile lo persegua effettivamente e ne faciliti la realizzazione, ma piuttosto sembra presumere che migliori possibilità di conciliazione siano il risultato naturale e virtuoso di questo modo di lavorare flessibile. A tal riguardo, merita evidenziare che la possibilità di ricorrere al lavoro agile solo attraverso il consenso individuale del lavoratore, insieme con la possibilità di risolvere il medesimo accordo senza obbligo di giustificazione, ma semplicemente rispettando il termine di preavviso (art. 19, c. 2, L. n. 81/2017), potrebbe essere più penalizzante soprattutto per i caregivers, per i quali la prevedibilità dei cambiamenti dell’organizzazione di lavoro è particolarmente importante. In altri termini, la flessibilità funzionale della prestazione lavorativa, con riferimento a spazio e tempo, che caratterizza il lavoro agile, si può certamente prestare a soddisfare istanze di conciliazione, ma non le garantisce di per sé, se i lavoratori non godono di sufficiente autonomia nella determinazione in concreto delle modalità di esecuzione della prestazione e di adeguate tutele per i loro diritti. Diversamente, rischia di risolversi nel rafforzamento dei poteri unilaterali del datore di lavoro.

4. Osservazioni conclusive.

Infine, alla luce della situazione pandemica ed emergenziale che ha colpito l’ordinamento vigente, il Decreto del Presidente del Consiglio dell’8 marzo 2020, recante Misure per il contrasto e il contenimento sull’intero territorio nazionale del diffondersidel virus Covid-19, in continuità rispetto al primo decreto (c.d. Decreto Cura Italia) del 23 febbraio 2020 per i soli comuni facenti parte della “zona rossa”, ha disposto all’art. 2, comma 1, lettera r), che lo smart working fosse applicabile in tutta Italia a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalla L. n. 81/2017, anche in assenza di accordi individuali, fermo restando l’obbligo di informativa sulla sicurezza di cui all’art. 22 della predetta legge, da assolvere però invia telematica. Viene così introdotto un regime transitorio della modalità agile connesso alla fase di emergenza di cui è prevista la vigenza, allo stato, sino al 30 Aprile 2021. È stata così attuata una forma di smart workingche, in realtà, si pone come una sorta di tertium genus rispetto allo stesso e al telelavoro, dovendo peraltro necessariamente svolgersi nel domicilio proprio dello smart worker, o comunque in altro domicilio in forma per lo più continuativa, e non alternata, ai fini del contenimento del rischio di contagio pandemico. La ratio alla base della semplificazione risiede nell’aver individuato nello smart working la modalità di lavoro subordinato in grado di consentire l’adeguato bilanciamento tra la tutela della salute del lavoratore con quello del cittadino, così garantendo la prosecuzione della funzione pubblica.

Note

1) Le esperienze prima della Direttiva n. 3/2017 sono in particolare legate a progetti pilota del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nello specifico il riferimento è al progetto E.L.E.N.A. (Experimenting flexible labour tools for enterprises by engaging men and women) co-finanziato con i fondi del programma europeo REC, che ha riguardato però nello specifico il Gruppo Acea società partecipata dal Comune di Roma. Per un’analisi dello stesso si rinvia a M. BROLLO, Il lavoro agile nell’era digitale tra lavoro privato e pubblico, in Lav. pubb. amm., 2017, 1, 125.

2) Per una ricostruzione puntuale dei contenuti della Direttiva n. 3/2017 si veda A. SARTORI, Il lavoro agile nella pubblica amministrazione, in G. ZILIO GRANDI, M.BIASI (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Padova, 2018, 492 e ss.; V. TALAMO, Diversamente agile? Lo Smart work nelle pubbliche amministrazioni, in L. FIORILLO, A.PERULLI (a cura di), Il Jobs Act del lavoro autonomo e del lavoro agile, Torino, 2018, 257 e ss.

3) Analfabeta funzionale, secondo un recente studio OCSE (Further Results from the Survey of Adult Skills, 2016), è colui che, pur sapendo leggere e scrivere, non è in grado di usare queste capacità nella vita quotidiana e che spesso non comprende i linguaggi delle nuove tecnologie. Con il 28% di analfabeti funzionali, l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa, insieme alla Spagna, e al quartultimo nel mondo, rispetto ai 33 paesi analizzati http://www.oecd.org/skills/skills-matter-9789264258051-en.htm.

4) Sul tema V. BERLINGÒ, Il fenomeno della datafication e la sua giuridicizzazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2017, 641 e ss.; M. FALCONE, Big data e pubbliche amministrazioni: nuove prospettive per la funzione conoscitiva pubblica, ivi, 601 e ss.; S. LAVERTU, Big Data and the mismeasure of public administration, in Public Administration Review, 2016; N. ROGGE –T.AGASISTI –K.DE WITTE, Big Data and the measurement of public organizations’ performance and efficiency, in Public Policy and Administration, 2017.

5) R. ZUCARO, Pubblica amministrazione e smart working, dalla disciplina ordinaria alla deroga emergenziale, in Lav. pubb. amm., 2020, n. 2.

6) C. SPINELLI, Le potenzialità del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni: da modalità ordinaria di gestione dell’emergenza a volano per l’innovazione?, in Lav. pubb. amm., 2020, n. 2.